Il quesito referendario propone di ridurre da dieci a cinque gli anni di residenza per ottenere la cittadinanza. Accese le reazioni del fronte contrario.
Al centro del dibattito politico di giugno c’è il referendum sull’immigrazione, che punta a modificare la normativa vigente in materia di cittadinanza. L’obiettivo del quesito è chiaro: permettere agli stranieri residenti regolarmente in Italia da almeno cinque anni, anziché dieci, di poter richiedere la cittadinanza italiana. Una proposta sostenuta da partiti e associazioni dell’area progressista, che la considerano un passo verso una società più inclusiva.
Tuttavia, il fronte del “no” al referendum si è già attivato con toni molto critici. Secondo i promotori del rigetto, non esisterebbe alcuna urgenza normativa o sociale per modificare l’attuale legge. Ricordano come, nel solo 2022, siano state concesse 210.000 nuove cittadinanze, il dato più alto tra i Paesi dell’Unione europea. Il sistema, dunque, viene descritto come già efficiente.
Chi si oppone al quesito referendario sostiene che non ci sia alcun bisogno di ridurre il tempo di residenza richiesto. In molti casi, sottolineano, le persone interessate a ottenere la cittadinanza sono già titolari della cittadinanza del Paese d’origine, ricevuta per ius sanguinis, proprio come gli italiani nati all’estero.
Secondo questa visione, la cittadinanza italiana rappresenterebbe un’aggiunta e non una condizione necessaria per vivere o lavorare nel Paese. Chi lavora regolarmente, spiegano, ha diritto a salari e accesso ai servizi, ma non per questo acquisisce automaticamente diritti politici come quello di voto, che restano prerogativa del cittadino.
A ciò si aggiunge un’osservazione di ordine generale: “la cittadinanza comporta un’appartenenza culturale e simbolica, oltre che giuridica”. Per questo motivo, secondo i contrari, l’acquisizione dovrebbe arrivare solo dopo un percorso dimostrabile di integrazione culturale, linguistica e civica.
Non manca, infine, una lettura politica della proposta. Secondo i critici, l’iniziativa per ridurre i tempi d’accesso alla cittadinanza nasconderebbe in realtà l’obiettivo di allargare la platea degli elettori in vista delle future elezioni. Una manovra, sostengono, utile soprattutto alla Sinistra, che punta a conquistare consensi tra i nuovi cittadini.
La preoccupazione è che un processo semplificato di naturalizzazione possa compromettere la coesione sociale e la tenuta del welfare, già messo alla prova. Le esperienze di altri paesi europei, come Francia e Belgio, vengono citate come esempi in cui la concessione rapida della cittadinanza non ha risolto problemi di integrazione, ma in alcuni casi ha favorito l’isolamento in quartieri-ghetto e la radicalizzazione.
Per i detrattori del referendum, la cittadinanza deve rimanere “un riconoscimento e una selezione”, da concedere solo a chi apporta un valore aggiunto alla collettività. E per questo motivo, concludono, il quesito va respinto.