Padre richiede 3 giorni di congedo per assistere la figlia e consentire alla moglie di lavorare: l’azienda lo licenzia

Un operaio di Assisi vince in tribunale dopo essere stato licenziato per aver preso congedo parentale: un caso che ribalta precedenti aziendali.

Una decisione controversa

Un lavoratore di Assisi ha subito il licenziamento dalla sua azienda per aver preso un congedo parentale di tre giorni, con l’intento di prendersi cura della figlia e consentire alla moglie infermiera di riprendere il lavoro. Questa decisione aziendale è stata poi rivista e annullata dalla giustizia. “Perché aveva abusato del permesso concesso,” è stata la motivazione della ditta, che non ha trovato fondamento davanti al giudizio del tribunale di Perugia, guidato dal giudice Giampaolo Cervelli. Quest’ultimo ha sentenziato a favore del dipendente, riconoscendo il licenziamento come una violazione dei suoi diritti.

Le motivazioni del licenziamento

L’azienda aveva accusato il dipendente di abusare del congedo, impegnandosi in attività ritenute non strettamente legate alla cura della figlia, quali fare la spesa o accompagnare la bambina all’asilo. Tali accuse sono state supportate da osservazioni di un investigatore privato. Tuttavia, l’avvocato del lavoratore, Nunzia Parra, ha evidenziato come il congedo parentale sia destinato a coprire proprio questo tipo di necessità, promuovendo l’equilibrio tra responsabilità lavorative e familiari e sostenendo la parità di genere.

Un precedente importante

La decisione del giudice Cervelli si profila come un momento significativo nel diritto del lavoro, stabilendo che l’utilizzo del congedo parentale da parte dell’operaio rientrava in attività legittime di gestione familiare e supporto alla moglie nel suo rientro al lavoro post-maternità. Con questo verdetto, l’uomo ha ora l’opportunità di essere reintegrato in azienda o di ricevere un indennizzo equivalente a 15 mensilità, ponendo un precedente importante per casi simili in futuro.