“Siamo un meta-partito”: Landini cerca lo scontro finale con Schlein
Maurizio Landini non si arrende: rilancia dopo la sconfitta referendaria e si candida, neppure troppo velatamente, a federatore del campo largo post-Schlein.
Dal “tesoretto” referendario al piano per il dopo Schlein
Altro che sconfitta. Maurizio Landini ha già voltato pagina e, come l’araba fenice, si mostra pronto a rinascere dalle ceneri dei referendum falliti sul lavoro. Altro che fughe a Budapest in cerca di visibilità, come Elly Schlein, attesa al Gay Pride ungherese a fine mese: il segretario della Cgil resta ben ancorato al suolo italiano e rilancia. “Ripartiamo da quei 13 milioni di italiani che hanno risposto al nostro appello. È il nostro tesoretto”, dichiara con tono sornione.
Dietro la facciata del sindacalista instancabile, si profila un disegno politico che molti ormai non esitano a definire esplicito: se il campo largo dovesse implodere tra le tensioni irrisolte fra Schlein e Giuseppe Conte, Landini è pronto a scendere in campo. Non come comparsa, ma come guida riconosciuta, figura austera e granitica, priva di “stravaganze” o incertezze.
Un meta-partito in costruzione, dal sindacato alla sinistra diffusa
Del resto, Landini guida già una rete parallela, un vero e proprio meta-partito che si nutre di visibilità televisiva, presenze militanti, legami con Pd, M5S, Avs e una galassia di sigle della sinistra più radicale. Una piattaforma già operativa, capace di mobilitare consensi e consensi mediatici. La sua figura, ruvida ma autorevole, rassicura i direttori dei giornali progressisti e galvanizza le frange militanti.
Nessuna timidezza nelle uscite pubbliche. Con oltre 35 gradi di temperatura, Landini è stato l’unico leader nazionale a partecipare alla marcia per Gaza da Marzabotto, rilanciando le sue bordate contro l’uso della guerra come strumento politico: “Siamo di fronte allo sdoganamento della guerra al posto della diplomazia. È inaccettabile”.
Il giorno prima, sul palco del Festival delle idee organizzato da Repubblica a Bologna, parlava di riforma della legge elettorale, dimostrando ancora una volta di non voler lasciare campo libero a nessun tema dell’agenda politica.
Un leader “tosto” che guarda oltre il sindacato
“Non ho mai vissuto il sindacato come un lavoro, ma come una missione”, ha detto recentemente, con toni più da agiografia che da conferenza stampa. Una missione che, se le circostanze lo rendessero necessario, potrebbe condurlo direttamente alla guida della sinistra. Come un federatore. Come l’unico in grado di tenere insieme ciò che altri stanno lacerando.
Nel frattempo, il Nazareno rischia l’implosione. Le tensioni interne al Pd promettono mesi roventi, con Elly Schlein costretta a fronteggiare una minoranza agguerrita. Un logoramento che potrebbe accelerare la sua uscita di scena. A quel punto, mentre altri si arrovellano su strategie e correnti, Landini potrebbe presentarsi con il suo stile spartano ma determinato, già pronto a guidare il nuovo assetto.
Il calendario è dalla sua parte: tra l’estate e l’autunno del prossimo anno scade il suo mandato alla Cgil. Il passaggio dalla fase “ispiratrice” alla leadership formale potrebbe avvenire in pochi giorni. Il rosso di Corso Italia, per molti, è già pronto a tingere il campo largo.