Febbre e tachicardia scambiate per “sindrome virale”, muore studente 20 enne dopo due accessi al pronto soccorso

Febbre alta, tachicardia e allerta sepsi: per i medici era solo sindrome virale. Pochi giorni dopo, lo studente della Columbia è stato trovato senza vita.

La prima visita e la diagnosi di sindrome virale

Aveva solo 20 anni Sam Terblanche, studente al terzo anno della Columbia University, quando ha iniziato ad accusare brividi, cefalea e un forte senso di spossatezza. Era in metropolitana diretto allo stadio con alcuni amici quando il malessere lo ha costretto a fermarsi. Il giorno successivo, si è recato al pronto soccorso del Mount Sinai Morningside di New York, dove i medici hanno parlato di una “sindrome virale acuta” e lo hanno dimesso. La notte, però, i sintomi si sono aggravati: nausea, vomito, dolori muscolari e crampi violenti alle gambe. Nonostante ciò, anche alla seconda visita, i sanitari hanno confermato la diagnosi iniziale, prescrivendogli solo riposo, idratazione e paracetamolo.

Due giorni dopo, Sam è stato trovato morto nella sua stanza del campus universitario. La famiglia ha avviato un’azione legale contro l’ospedale, chiedendo chiarimenti sulle scelte diagnostiche e terapeutiche adottate.

La seconda visita e l’allerta sepsi ignorata

Dalla documentazione clinica emergono dati allarmanti: febbre a 38,6 gradi, tachicardia a 126 battiti al minuto e difficoltà respiratorie. Durante la compilazione della cartella elettronica, un sistema automatico ha segnalato il rischio di sepsi, condizione potenzialmente letale dovuta a una reazione estrema del sistema immunitario a un’infezione. L’avviso è stato però archiviato come improbabile. I medici hanno preferito mantenere la diagnosi di sindrome virale, senza prescrivere antibiotici né ricovero.

Le discrepanze nelle annotazioni hanno aggravato i dubbi: in alcuni punti si segnala assenza di tosse, in altri invece la presenza; i parametri vitali non sono stati registrati in modo completo; perfino firme di medici che hanno dichiarato di non aver mai visto il paziente risultano apposte sulla cartella. Nelle analisi del sangue, più della metà dei valori di Sam era fuori norma, tra cui piastrine, globuli rossi ed emoglobina. Nonostante ciò, venne rassicurato e dimesso con l’indicazione di tornare in ospedale solo in caso di peggioramento.

L’autopsia e i dubbi ancora aperti

Il referto autoptico non ha fornito risposte definitive. Il medico legale ha parlato di “emorragia polmonare di eziologia sconosciuta”. I polmoni di Sam presentavano gravi sanguinamenti, ma non è stato possibile stabilirne l’origine. L’emocoltura effettuata durante la seconda visita non mostrava segni di infezione, mentre cuore e fegato risultavano ingrossati, la milza congestionata e i reni danneggiati a livello tissutale. L’esame tossicologico era negativo.

A distanza di due anni dalla morte, la famiglia attende ancora una spiegazione. Il caso ha aperto un ampio dibattito negli Stati Uniti sulla capacità dei pronto soccorso di riconoscere tempestivamente condizioni gravi, anche quando i sintomi possono sembrare comuni. La madre dello studente ha espresso con parole dure il dolore e l’incredulità: “Il fatto che tutti noi pensiamo che la morte di Sam fosse prevenibile è semplicemente orribile. Non credo che sapremo mai di cosa è morto. Non sappiamo di che infezione si trattasse. Se di qualcosa di orribile o se sarebbe morto comunque. Ma il fatto che sia morto da solo, senza aiuto… è difficile da accettare”.

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