Sanità choc, “Lei ha un linfoma”. Invece era malaria: e il paziente muore
Antonio Mencaroni, aveva 58 anni e lavorava come ingegnere presso la Goodyear. Aveva la malaria, ma i medici se ne sono accorti quando ormai era troppo tardi. L’uomo è morto nel 2010 ed ora lo staff sanitario che si prese cura di lui (5 dottori) è stato condannato dal tribunale di Torino: le pene vanno dai 10 ai 16 mesi di reclusione e un sesto sanitario, che ha visitato solo una volta il paziente, è stato assolto. Tutti all’epoca dei fatti erano in servizio presso l’ospedale Molinette, dove l’uomo era stato ricoverato con alcuni sintomi che avrebbero dovuto, secondo l’accusa, portare immediatamente a intuire la natura della malattia. Ma invece non andò: la prima diagnosi fu di linfoma.
Quaranta giorni di esami e un intervento chirurgico per curarlo: solo dopo tutto ciò, i medici riuscirono finalmente a capire che Mencaroni era affetto da malaria, confusi anche dal fatto che l’ingegnere non aveva fatto viaggi in luoghi a rischio. Sarebbe bastato anche un semplice test, ma quando fu prescritto per il 58enne non c’era già più niente da fare. Al processo si è ipotizzato che l’uomo, fu contagiato dal morso di una zanzara rimasta annidata in un carico di pneumatici provenienti dalla Nigeria.
Oltre alla condanna, gli imputati dovranno anche pagare una provvisionale di 80 mila euro alla vedova e di 20 mila alla sorella dell’ingegnere, entrambe assistite dall’avvocato Anna Ronfani. “In ospedale mi dissero che mio marito stava morendo e allora gli feci impartire l’estrema unzione. Poi, lo stesso giorno, all’improvviso lui sgranò i suoi grandi occhi azzurri e diventò paonazzo. Accorsero medici e infermieri, lo portarono in rianimazione e poi mi spiegarono che a colpirlo non era stato un linfoma, come avevano creduto: era malaria”, ricorda la vedova Mencaroni. “Ricorderò per sempre – ha raccontato la donna – gli occhi tristi dell’infettivologo dell’ospedale quando mi disse: ‘Signora, non sono intervenuto prima perché mi hanno chiamato troppo tardi’”.
I medici dell’ospedale Molinette avevano sostenuto di aver agito sempre correttamente, sulla base di una diagnosi formulata da un collega che però non è stato imputato nel processo. Solo gli ulteriori test hanno fatto emergere gli indizi di una patologia molto rara nel nostro Paese e difficile anche da sospettare: non risultava nemmeno, hanno rimarcato i legali dei medici, che l’ingegnere avesse viaggiato all’estero, e nessun indizio poteva suggerire la diagnosi della malaria. La procura però ha ribattuto che lo staff sanitario non aveva mai effettuato una anamnesi completa e che nulla vietava di fare esami più completi. In conclusione, dal processo emerge che, se i medici avessero capito prima di cosa si trattava, la morte di Mencaroni probabilmente si sarebbe potuta evitare.