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Pd in trappola sul referendum: alta tensione tra la Schlein e Landini, rischio flop

Schlein frena sull’abrogazione del jobs act per evitare un insuccesso annunciato. Il M5S fiuta l’occasione, mentre Renzi dice no senza esitazioni

Il Pd rallenta sul referendum, cresce l’irritazione di Landini

L’alleanza tra il Pd e Maurizio Landini scricchiola sotto il peso del referendum sul jobs act, in programma l’8 e 9 giugno. Il timore di un’affluenza troppo bassa e quindi del mancato raggiungimento del quorum spinge Elly Schlein e la sua segreteria a ridimensionare l’impegno sul voto abrogativo, pur sostenendolo formalmente. Una prudenza che si traduce in una campagna a bassa intensità, lontana da quella “mobilitazione totale” che ci si aspettava dalla principale forza di opposizione.

Dietro le quinte, diversi dirigenti dem – tra cui Marco Furfaro, Sandro Ruotolo e Francesco Boccia – avvertono: «Sarebbe un errore clamoroso di Elly mettere la faccia su un referendum il cui esito (fallimento) è scontato. Perché regalare una vittoria così facile a Meloni?». La linea ufficiale resta favorevole ai quesiti, come stabilito dalla direzione nazionale, ma l’atteggiamento sul campo è ben più cauto.

La freddezza del Pd non è passata inosservata al segretario della Cgil. Ieri Landini ha espresso apertamente il suo malumore: «Questo referendum non è per questo o quel partito, è un voto che permette di migliorare i diritti di chi lavora. Le persone col loro voto possono decidere, non è che devono delegare qualcuno». Ha poi criticato duramente la carenza di informazione: «Le tv e i giornali non ne parlano. Tanta gente non sa nemmeno che ci sarà il referendum. Per i giovani è un disastro: precarietà senza fine, salari troppo bassi, si muore sul lavoro».

Divisioni interne e un’eredità scomoda

Nel Pd, oltre al timore del flop, pesa il dissenso interno. Un’area significativa del partito – da Dario Franceschini a Lorenzo Guerini – è contraria all’abrogazione della norma varata nel 2015. Lo stesso presidente dem Stefano Bonaccini non condivide la battaglia referendaria, giudicandola politicamente pericolosa. In ballo c’è anche la coerenza storica del partito: il jobs act porta la firma del Pd e una campagna elettorale contro quella riforma rischierebbe di trasformarsi in un boomerang.

Per Schlein il rischio è duplice: esporsi su un’iniziativa che potrebbe naufragare e, al contempo, provocare una lacerazione nella sua coalizione interna. A complicare il quadro c’è la posizione netta di Matteo Renzi, padre politico della riforma: «Voterò no all’abrogazione del jobs act», ha detto senza esitazione, rivendicando una coerenza che, al momento, pochi possono permettersi.

Un altro nodo è rappresentato dalle tribune elettorali. In un’eventuale contrapposizione diretta, Renzi potrebbe trovarsi faccia a faccia con la stessa Schlein o con Boccia, con cui peraltro sta tessendo alleanze in diversi comuni in vista delle amministrative. Una situazione imbarazzante e politicamente rischiosa per il Nazareno.

Conte osserva e si prepara a capitalizzare

Nel quadro di tensioni crescenti, l’unico a intravedere un possibile guadagno politico è Giuseppe Conte. Il Movimento 5 Stelle, infatti, si è schierato con decisione per il sì ai referendum, posizionandosi accanto alla Cgil e puntando a intercettare il malcontento nel mondo del lavoro. Non si tratta di un sostegno disinteressato alla linea di Landini, ma di una manovra mirata a consolidare consensi in un’area politica e sindacale dove il M5S vuole tornare protagonista.