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Referendum flop in vista: Schlein sogna il Quirinale ma inciampa sull’astensione

Elly Schlein guarda già al Quirinale, ma il suo Pd fatica a portare gli elettori alle urne per il referendum del 30 giugno

La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein sembra voler bruciare le tappe. Secondo retroscena e dichiarazioni rilasciate di recente, si starebbe già preparando a presentarsi al Quirinale con una lista di ministri, come se la prospettiva di un’elezione anticipata fosse concreta e imminente. Una mossa che ha ridato fiato anche a figure storiche del partito come Pier Luigi Bersani, tornato nel solco del Pd dopo la stagione renziana.

Ma al di là delle ambizioni, il primo vero banco di prova per la segretaria arriva il 30 giugno, giorno del referendum promosso dalla Cgil su lavoro e cittadinanza. Il rischio è che la sfida si trasformi in un boomerang: nonostante Schlein abbia dichiarato al Corriere della Sera di aver visto “un sondaggio in cui si prevede una partecipazione più alta del 40%”, la soglia del quorum resta distante almeno dieci punti.

Il ricordo del flop di Renzi nel 2016

Il clima che si respira ricorda a molti quello del referendum costituzionale del 2016, quando Matteo Renzi, allora presidente del Consiglio, mise tutto il proprio peso politico nella campagna per la riforma. La scommessa fu netta e rischiosa: “Mi dimetterò un minuto dopo, in caso di sconfitta”, promise. E così fu. Anche se il passo indietro riguardò solo Palazzo Chigi, mentre la segreteria del Pd venne mantenuta per un altro anno.

Oggi Schlein si muove con pari determinazione, ma senza quel tipo di esposizione personale. Eppure, il pericolo che corre è simile: legare il futuro del partito e della propria leadership a un referendum la cui partecipazione è tutta da verificare. La memoria corre ancora più indietro, al 1985, quando fu la Cgil di Luciano Lama a promuovere un referendum sulla scala mobile, fortemente voluto dal Pci di Enrico Berlinguer. In quell’occasione, il fronte referendario perse, e Bettino Craxi ne uscì rafforzato.

Bersani, metafore e fantasmi del Nazareno

Nel frattempo, osservatori e commentatori si chiedono che tipo di metafora potrebbe oggi scegliere Pier Luigi Bersani per descrivere l’ascesa della sua segretaria. L’ex leader del Pd, noto per il suo colorito linguaggio fatto di giaguari da smacchiare e tacchini sui tetti, è stato finora silenzioso. Forse perché la figura di Schlein, con le sue ambizioni e il suo stile distante da quello delle vecchie correnti, sfugge alle categorie animali della tradizione bersaniana.

Non una mucca nei corridoi del partito, né un tacchino da balcone. Forse, suggerisce qualcuno, l’immagine più adatta è quella di un fantasma: un’apparizione intermittente sui tetti del Nazareno, avvolta nel lenzuolo prestato simbolicamente da Riccardo Magi, il deputato radicale espulso da Montecitorio per la sua protesta pro-referendum.

Uno spettro, insomma, che aleggia su un partito ancora in cerca di direzione. E a riconoscerlo non è un critico della prima ora, ma Roberto D’Agostino, fondatore di Dagospia, che sul Corriere della Sera ha definito l’attuale opposizione “più masochista che mai”.