Tra marzo e aprile gli italiani saranno chiamati a votare sulla separazione delle carriere tra giudici e pm. Il dibattito politico si accende tra divisioni, appelli e toni contrapposti.
La riforma al centro del confronto politico
La campagna referendaria sulla separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti entra nel vivo. Il voto, previsto tra marzo e aprile 2026, sarà il banco di prova di una riforma che divide profondamente politica e opinione pubblica. Per il governo, si tratta di “una riforma di civiltà”, come più volte ribadito dal premier Giorgia Meloni e dal ministro Carlo Nordio. Per una parte delle opposizioni, invece, è una “riforma truffa”, utile solo a riequilibrare i rapporti di forza tra politica e magistratura.
Le posizioni sono frastagliate anche all’interno dei partiti. Mentre la sinistra più radicale alza i toni contro il progetto, alcuni esponenti dell’area centrista invitano a un approccio pragmatico. «Votare No al referendum solo per colpire la Meloni è un calcolo miope», afferma Osvaldo Napoli, dirigente di Azione, che definisce la separazione delle carriere “una misura di chiarezza, non una rivoluzione”.
Divisioni anche nel centrosinistra: tra garantisti e oppositori duri
A condividere l’impostazione di Napoli è la deputata Daniela Ruffino, anche lei di Azione, che invita il Partito Democratico e i suoi garantisti, come Goffredo Bettini, a non cadere nella trappola del voto ideologico: «Il referendum non è un’ordalia né un giudizio su Meloni. Si può votare sì senza condizionamenti, e poi lavorare in Parlamento sui veri problemi della giustizia».
Sul fronte opposto, Angelo Bonelli, leader di Alleanza Verdi e Sinistra, parla di “riforma truffa e ingannatrice”. Secondo il deputato ecologista, la separazione delle carriere “non risolve i problemi strutturali della giustizia, come la lentezza dei processi e il sovraffollamento carcerario, ma serve solo a indebolire e controllare la magistratura”.
Una linea che trova sponda anche in ambienti giudiziari e costituzionalisti, che mettono in guardia da una possibile “deriva punitiva” nei confronti delle toghe.
Casellati: “Serve un giudice terzo”. Pinelli: “Niente scontro tra poteri”
In difesa della riforma interviene la ministra per le Riforme istituzionali Elisabetta Casellati, che definisce il progetto “una grande riforma di garanzia per il cittadino”. «Oggi abbiamo una distonia tra accusa e difesa: la Costituzione parla di giusto processo e per garantirlo bisogna distinguere i ruoli», spiega. «Magistrati e pubblici ministeri condividono oggi carriere, valutazioni e percorsi al Csm: è una commistione che non va bene. Gli italiani devono avere un giudice arbitro, non un giocatore della stessa squadra».
A invitare alla moderazione è il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Fabio Pinelli, che chiede un «confronto tecnico e non ideologico», ricordando che «in ogni democrazia è fisiologico il dialogo tra potere politico e giudiziario, purché ciascuno rispetti le proprie prerogative costituzionali».
Dal centrodestra, Alfredo Antoniozzi, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, ribadisce: «Il referendum non è pro o contro Meloni. È una riforma di civiltà che non limita l’autonomia dei magistrati ma rafforza la chiarezza tra accusa e giudice».