Kiev pensa al licenziamento dell’ambasciatrice Oksana Markova dopo lo scontro tra Zelensky e Trump, “Perché non ha impedito al presidente di parlare inglese”
L’ambasciatrice ucraina negli Stati Uniti, Oksana Markova, potrebbe essere richiamata a Kiev dopo il dibattito acceso tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump nello Studio Ovale.
La reazione di Markova diventa virale
Durante il duro confronto tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump alla Casa Bianca, tra i presenti in prima fila nello Studio Ovale c’era anche l’ambasciatrice ucraina negli Stati Uniti, Oksana Markova. La sua reazione – mani nei capelli, volto arrossato e sguardo abbassato – è stata immortalata dai giornalisti presenti e i video che la ritraggono sono diventati virali sui social. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, all’interno del governo di Kiev cresce la pressione affinché l’ambasciatrice venga richiamata.
Critiche sulla gestione della conferenza stampa
A sollevare dubbi sul futuro di Markova sono alcuni esponenti della leadership ucraina, che ritengono abbia avuto un ruolo nella difficile gestione dell’incontro. «Non ha fatto il suo lavoro. Perché non ha cercato di impedire che Zelensky parlasse in inglese alla conferenza stampa?», si chiedono ambienti vicini al governo di Kiev. Secondo le fonti citate dal Corriere, l’ambasciatrice avrebbe dovuto insistere affinché il presidente fosse affiancato da un interprete, evitando così un confronto diretto in una lingua che Zelensky padroneggia solo da pochi anni.
Le tensioni con il Partito Repubblicano
Non è la prima volta che il nome di Oksana Markova viene associato a possibili dimissioni. Ambasciatrice dal 2021, era già finita al centro di polemiche nel settembre 2024, quando alcuni esponenti del Partito Repubblicano degli Stati Uniti l’avevano accusata di sostenere indirettamente la candidatura di Kamala Harris. In quell’occasione, la diplomatica aveva semplicemente visitato una fabbrica di munizioni per l’esercito ucraino, situata vicino a un evento elettorale del Partito Democratico. Tanto era bastato ai conservatori americani per chiedere la sua rimozione dall’incarico.