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Landini all’attacco del Governo: “Morti sul lavoro non sono fatalità, ma omicidi”

Il segretario della Cgil lancia un duro attacco sul tema della sicurezza, mentre nel centrosinistra si apre la frattura sul Jobs Act e i referendum di giugno.

Landini accusa: “Le morti sul lavoro sono omicidi”

Una nuova presa di posizione netta da parte del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che durante un’iniziativa pubblica contro il Jobs Act ha rilanciato con parole forti la battaglia del sindacato sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. “Siamo di fronte a dei veri e propri omicidi, non delle fatalità. Siamo di fronte a un modello di fare impresa e mercato che uccide, che è stato favorito dalla politica e dal Parlamento con le leggi. Quindi basta chiacchiere, è il momento di agire e intervenire”, ha tuonato Landini, puntando il dito contro l’inerzia della politica.

L’iniziativa si inserisce nel contesto delle mobilitazioni sindacali in vista del 1° maggio, mentre la nave della comunicazione governativa si prepara a presentare misure per la sicurezza sul lavoro. Ma Landini non si accontenta degli annunci: “Non è il momento delle chiacchiere o degli annunci, ma dei fatti”.

Tensioni con il governo e accuse da Forza Italia

Le parole del leader sindacale hanno scatenato reazioni immediate. Dura la replica della vicepresidente del Senato, Licia Ronzulli (Forza Italia), che ha attaccato frontalmente il segretario della Cgil: “Iscritti alla Cgil, aprite gli occhi e guardatevi da un segretario che tutto fa, tranne tutelare i vostri interessi”. E ancora: “È un incendiario che soffia sul fuoco del malcontento, sostenendo che le morti sul lavoro sono omicidi provocati dalla politica, e poi sbatte le porte in faccia a ogni tentativo di confronto con il governo”.

In questo clima teso, Landini prosegue il suo percorso politico e sindacale verso l’appuntamento dell’8 e 9 giugno, quando si voterà su cinque referendum, quattro dei quali promossi direttamente dalla Cgil, e tra questi proprio quello sull’abrogazione del Jobs Act, la legge sul lavoro fortemente voluta nel 2015 dall’allora premier Matteo Renzi.

Referendum e divisioni nel Pd

Proprio il referendum sul Jobs Act mette in imbarazzo il Partito Democratico, oggi guidato da Elly Schlein. Il partito, pur sostenendo ufficialmente l’abrogazione della norma, si trova di fronte a una spaccatura interna. Molti esponenti storici del Pd – tra cui Graziano Delrio, Alessandro Alfieri, Marianna Madia, Lia Quartapelle, Simona Malpezzi e Giorgio Gori – non intendono seguire la linea ufficiale.

Il segretario Landini non rinuncia però alla possibilità di creare un fronte largo in vista della consultazione popolare, e tende la mano anche a chi fu ideatore della norma oggi contestata: “Siamo pronti a confrontarci con tutti: con Renzi, le forze politiche, il governo. Non abbiamo ancora avuto una risposta, noi insistiamo perché tutti si impegnino e chiedano alle persone di andare a votare”.

Un invito che suona anche come una sfida per il centrosinistra, chiamato a scegliere se seguire compatto la direzione impressa dal sindacato o affrontare la consultazione elettorale esponendo le proprie contraddizioni. Il vero ostacolo resta il quorum, difficile da raggiungere senza una mobilitazione trasversale e convinta.