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Schlein e il referendum, la sinistra verso il naufragio: “Una battaglia minoritaria che regala consensi a Meloni”

L’approccio ideologico al voto referendario rischia di isolare ulteriormente il Pd, spaccare l’opposizione e rafforzare la maggioranza.

Una sinistra che si auto-sabota

Anche con un minimo di spirito cavalleresco, è difficile ignorare quanto l’attuale linea politica di Elly Schlein stia creando problemi profondi alla sinistra italiana. Pur riconoscendo alla segretaria del Pd una certa coerenza e un’identità chiara, restano le evidenti fragilità strategiche, sempre più percepibili non solo dall’elettorato moderato, ma anche da quello interno al centrosinistra. Le sue interviste ricordano lo spirito delle assemblee scolastiche: buoni da una parte, cattivi dall’altra. Giorgia Meloni? Cattiva. Salvini? Peggio. Trump? Cattivissimo. Nessuna sfumatura, nessuna strategia di medio periodo, nessuna visione concreta: solo invettive e rivendicazioni etiche.

E se da un lato è giusto che ogni partito segua la linea che ritiene più giusta, è altrettanto innegabile che in questo caso la battaglia referendaria rischia di trasformarsi in un clamoroso boomerang. L’attenzione rivolta alle dichiarazioni di Ignazio La Russa ha oscurato completamente la riflessione sui contenuti reali dei cinque quesiti referendari. E il rischio concreto, per l’8 e 9 giugno, è quello di una partecipazione inferiore al 40%: un fallimento politico, non solo tecnico.

Un’occasione regalata alla destra

L’insistenza nel proporre l’abrogazione del Jobs Act, firmato dallo stesso Partito Democratico, porta alla luce un cortocircuito interno che Matteo Renzi ha evidenziato con durezza: «Tu metti il Pd a chiedere l’abrogazione delle riforme fatte dal Pd e quindi Meloni se la gode e se la ride». A beneficiarne, infatti, non è solo il governo, ma l’intera narrazione del centrodestra, che può così rappresentarsi come baluardo di stabilità contro un’opposizione divisa, ripiegata su battaglie del passato e incapace di elaborare un’alternativa concreta.

Il risultato? Una linea politica che spinge la sinistra verso posizioni sempre più ideologiche: sul tema della cittadinanza, si rischia di apparire distanti dalla sensibilità dell’elettorato; sul mercato del lavoro, si accentua una visione anti-impresa che finisce per danneggiare gli stessi lavoratori che si vorrebbero tutelare.

Il Pd riformista ridotto al silenzio

Nel frattempo, i cosiddetti riformisti del Pd sembrano relegati a un ruolo marginale. Nessuna difesa delle leggi ora sottoposte a referendum, nessuna opposizione chiara: solo un “diritto al silenzio” mascherato da “libertà di coscienza”. Secondo l’analisi, si tratta di una sconfitta culturale già accettata. E con una sinistra ferma al 34-36% nei sondaggi – massimo 40-42% sommando tutte le sigle – le possibilità di contendere la vittoria al centrodestra appaiono sempre più remote.

La linea politica trainata dal binomio Schlein-Landini rischia di desertificare l’intero spazio progressista, lasciando fuori chi non si riconosce in una sinistra rigidamente ideologica. E se anche un ruolo riformista dovesse emergere, paradossalmente potrebbe toccare proprio a Renzi, esterno al Pd ma ancora capace di occupare uno spazio politico oggi vuoto.