“Non voglio fare politica”, ma Landini detta la linea alla sinistra
Il leader della Cgil accende lo scontro dopo il flop referendario: “Serve rivedere il quorum e la legge elettorale”. Il centrodestra insorge.
Landini attacca la legge elettorale e il meccanismo del quorum
Da Bologna, durante il festival “Repubblica delle Idee”, il segretario generale della Cgil Maurizio Landini è tornato a parlare del referendum, avanzando una proposta netta: rivedere la legge elettorale e, soprattutto, il meccanismo del quorum. Dichiarazioni che hanno subito suscitato reazioni accese, specie per l’ambiguità del suo ruolo: Landini ha infatti più volte dichiarato pubblicamente di non voler entrare in politica al termine del suo mandato sindacale, ma le sue ultime uscite sono apparse tutt’altro che neutrali.
“Il quorum nasce in un Paese dove il 95% andava a votare. Oggi sei in una situazione che non hai più legge elettorale proporzionale, hai premi di maggioranza, a votare va il 60-65% quando va bene”, ha dichiarato il leader sindacale. E ancora: “Dentro al Parlamento chi fa le leggi non rappresenta la maggioranza del Paese”.
Una lettura che ricalca la posizione di diversi esponenti della sinistra all’indomani del flop referendario, dove l’affluenza non ha superato la soglia minima per la validità. Un dato che ha congelato i cinque quesiti, tra cui quello sulla cittadinanza, da molti considerato il cuore simbolico della consultazione.
Il paradosso del quorum e la memoria corta della sinistra
Le parole di Landini sono arrivate in un contesto di evidente sconfitta per le forze progressiste, che avevano sostenuto con forza il referendum. Ma molti osservatori sottolineano un’incongruenza di fondo: nel 2018, con una partecipazione simile, nessuno sollevò dubbi sulla legittimità della maggioranza parlamentare — compresa quella che governò con il Partito Democratico tra il 2019 e il 2021.
Inoltre, i governi che si sono susseguiti in quella legislatura non hanno mai previsto consultazioni popolari su temi rilevanti, preferendo accordi parlamentari. Oggi, invece, si arriva a mettere in discussione la soglia del quorum, cardine delle garanzie democratiche nel caso dei referendum abrogativi.
Secondo alcuni analisti, l’obiettivo implicito di certe posizioni sarebbe quello di ridurre la soglia partecipativa per rendere vincolanti i risultati anche con bassa affluenza, spostando così l’ago della bilancia in modo strategico, soprattutto su temi identitari.
Il quesito sulla cittadinanza e la divisione nel centrosinistra
Tra i cinque quesiti, quello sulla cittadinanza agli stranieri è stato il vero banco di prova della tenuta del fronte progressista. E il risultato ha sorpreso anche molti sostenitori della consultazione: uno su tre degli elettori di sinistra ha votato “no”, rivelando un malcontento diffuso anche tra le fila di chi, teoricamente, avrebbe dovuto sostenere la riforma.
I primi quattro quesiti, dedicati a norme sul lavoro, sono stati letti da molti come un regolamento di conti interno al Pd, dal momento che chiedevano l’abrogazione di leggi approvate proprio dai governi a guida dem negli anni precedenti. Anche in quel caso, la mobilitazione è stata parziale e frammentata.
Nel complesso, la spinta referendaria si è scontrata con un astenuto disinteresse da parte di ampie fasce dell’elettorato, ma anziché interrogarsi sulle ragioni di questo scollamento, buona parte della sinistra — e ora anche la Cgil — punta a cambiare le regole del gioco.