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Gabriele Bianchi condannato a 28 anni di carcere ha scritto un libro, “Sono innocente, non ho ucciso Willy”

Settantapagine scritte a Rebibbia per proclamare la sua innocenza: Gabriele Bianchi racconta la sua verità nel libro “La verità che nessuno vuole accettare”.

Un libro dal carcere per difendersi: “Non ho ucciso nessuno”

Si intitola La verità che nessuno vuole accettare il libro scritto da Gabriele Bianchi nel carcere di Rebibbia, dove sta scontando 28 anni di reclusione per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, avvenuto a Colleferro nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2020. La vicenda giudiziaria ha scosso profondamente l’opinione pubblica. Il fratello Marco Bianchi è stato condannato in via definitiva all’ergastolo.

Nel libro di settanta pagine, l’autore si presenta così: «Sono Gabriele Bianchi, uno dei fratelli Bianchi, carcerato da quasi 5 anni, condannato per un crimine che non ho commesso. Solo leggendo il mio libro capirai che pochi secondi possono cambiarti la vita per sempre. E che un innocente può finire all’inferno senza aver peccato…».

Secondo Gabriele Bianchi, il processo che lo ha condannato sarebbe stato “mediatico, con un esito già scritto”. Nel volume l’autore sostiene di essere stato giudicato e condannato dall’opinione pubblica prima ancora che la giustizia potesse accertare i fatti. «Non sono un assassino senza cuore, un mostro senza anima che ha pestato a morte un ragazzo. Io non ho ucciso nessuno», scrive.

Il percorso giudiziario e la concessione delle attenuanti

Condannato all’ergastolo in primo grado insieme al fratello, nel secondo grado d’appello a Gabriele Bianchi sono state riconosciute le attenuanti generiche, con la pena ridotta a 24 anni. In seguito, la Corte di Cassazione ha disposto l’annullamento parziale di quella sentenza, rilevando motivazioni poco convincenti nell’operato della Corte d’Appello. Nel processo d’appello bis, i giudici hanno confermato le attenuanti solo per Gabriele, ritenute equivalenti all’aggravante dei futili motivi. Per Marco, invece, non sono state riconosciute.

Durante il processo, Gabriele Bianchi ha sempre respinto l’accusa di aver colpito il ragazzo. «Voglio pagare per le mie colpe, ma non l’ho colpito. Preferisco morire in carcere piuttosto che dire di averlo colpito. Sono addolorato per la famiglia di Willy, ma non posso dire una cosa che non ho fatto. Io Willy non l’ho toccato e continuerò a dirlo per l’eternità».

La ricostruzione dell’accusa: “Un pestaggio brutale”

Nella requisitoria del processo d’appello bis, il procuratore generale ha descritto la morte di Willy Monteiro Duarte come «un evento indecente sia per le modalità che per i motivi». Il giovane venne colpito brutalmente, in un pestaggio durato cinquanta secondi.

Secondo la ricostruzione dell’accusa, i fratelli Bianchi ebbero un ruolo determinante nell’aggressione. In particolare, Gabriele, esperto di arti marziali, avrebbe dato il via al pestaggio con un calcio al petto della vittima, seguito immediatamente da Marco Bianchi. Una dinamica che, per la procura, conferma la piena responsabilità dei due fratelli nella tragica vicenda.