Attacco atomico, il governo è indietro: mancano bunker per le più alte cariche istituzionali

Il ministro lancia l’allarme: mancano rifugi adeguati per le massime cariche, eredità del lungo periodo di pace.

Un rischio sottovalutato per le istituzioni

Il governo si trova a fare i conti con un problema che fino a poche settimane fa era rimasto in gran parte sotto silenzio: le tutele fisiche delle più alte cariche dello Stato sono oggi inadeguate rispetto ai rischi di un conflitto moderno. A sollevare il dossier è stato il ministro della Difesa Guido Crosetto, che ha ricordato come «un ministro della Difesa deve sempre pensare al peggio» e dunque come sia urgente colmare le falle del piano di sicurezza nazionale.
Secondo fonti de Il Corriere della Sera, il sistema di protezione ha pagato decenni di pace in cui pochi si sono occupati di aggiornamenti. Strutture nate per un altro contesto strategico — dalla Guerra Fredda a oggi — sono state dismesse o rese inutilizzabili, lasciando buchi nella catena di salvataggio in caso di attacco esterno.

Cosa esiste e cosa manca: bunker, sedi e distanza

L’unico organismo che dispone ancora di un bunker operativo per il suo capo è la Presidenza del Consiglio: in caso di emergenza estrema è previsto il trasferimento a Forte Braschi, il cosiddetto «campo trincerato» di **Roma» gestito dai servizi segreti all’inizio di via Boccea. Per il ministro dell’Interno e quello della Difesa esistono procedure e alloggi blindati presso il Viminale e gli uffici di via XX Settembre, ma, avverte una fonte, «quelle stanze non sarebbero capaci di resistere a un attacco aereo».
Un tempo esisteva un’opzione più strutturata: il bunker di Monte Soratte, una rete di gallerie e cunicoli lunga decine di chilometri a nord di Roma, trasformata in bunker anti-atomico nel dopoguerra e sotto controllo Nato. Oggi però gran parte di quell’infrastruttura è stata dismessa e destinata a visite guidate. Al momento l’unico sito attivo di livello difensivo è il DC 75 a Montelibretti, a circa 50 chilometri a est della Capitale, nell’area della Scuola di formazione operativa dei Vigili del fuoco. La struttura, anti-sismica e in cemento armato, ospita la sala operativa del Viminale con apparecchiature per la gestione da remoto in emergenza.

Perché la distanza è un problema e le nuove regole complicano tutto

Il limite principale del DC 75, però, è la distanza: 50 chilometri sono troppi quando gli elicotteri non possono volare durante un attacco aereo. Analizzando il dossier Crosetto non ha nascosto la frustrazione: «È incredibile che la Difesa per costruire un bunker debba seguire le stesse regole di un imprenditore che vuole costruire un capannone industriale». Il problema non è solo burocratico: anche quando si apre la possibilità di «operare in deroga» per ragioni di sicurezza nazionale, questa è spesso vanificata dall’azione di comitati o ricorsi: «Perché poi basta un comitato civico a bloccare i lavori», ha osservato il ministro.
Le regole introdotte negli ultimi anni poi impediscono alle alte cariche dello Stato di muoversi insieme, una precauzione nata dopo la vicenda delle esequie di Silvio Berlusconi, quando l’intero esecutivo volò a Milano sullo stesso aereo. Allora il titolare dell’Interno Matteo Piantedosi commentò tra il serio e il faceto: «Qui basta un colpo e fanno fuori tutto il governo», sintetizzando il rischio operativo di concentrare troppo potere in spostamenti collettivi.

Quali sono le scelte urgenti

Il quadro che emerge è chiaro: servono aggiornamenti immediati del piano di sicurezza nazionale, investimenti mirati in infrastrutture protette più vicine ai centri decisionali e procedure snelle che permettano interventi rapidi senza restare impigliati nella burocrazia civile o locale. Va ripensata la rete dei siti sicuri — non solo strutture in cemento armato, ma il dispositivo logistico per rendere effettivo il trasferimento in condizioni estreme — e va chiarita la governance delle deroga per motivi di sicurezza nazionale, evitando che opposizioni locali possano paralizzare lavori strategici.

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