Il 14enne di Vicenza è morto di tumore dopo mesi di terapie alternative. I genitori a processo per aver ritardato le cure seguendo le teorie di Hamer.
Il dolore dei genitori e l’illusione di una cura alternativa
Aveva solo 14 anni Francesco Gianello, morto nel 2024 dopo aver lottato contro un tumore. Oggi il suo nome è al centro di un processo che scuote Vicenza e tutta l’Italia. I genitori, Luigi Gianello e Martina Binotto, sono imputati davanti alla Corte d’Assise: secondo la Procura avrebbero ritardato diagnosi e terapie affidandosi a un medico che seguiva la cosiddetta “Nuova Medicina Germanica”, teoria pseudoscientifica creata dal dottor Hamer.
Tutto comincia nel dicembre 2022, quando Francesco inizia ad accusare forti dolori a una gamba. Dopo una risonanza magnetica all’ospedale Rizzoli di Bologna, arriva la diagnosi di sarcoma osseo. I medici programmano una biopsia e una Pet, ma la famiglia decide di annullare tutto. «Il dottor Matteo Penzo ci disse che la biopsia avrebbe potuto far espandere la malattia. Ci consigliò di non farla», racconta oggi il padre.
Penzo, secondo quanto riferito dai genitori, seguiva le teorie di Hamer: il tumore sarebbe solo la manifestazione di un “conflitto interiore”. «Ci spiegò che bastava capire quale problema emotivo aveva scatenato la malattia – aggiunge Luigi Gianello – e risolverlo. Pensammo ai problemi a scuola, al calcio, a me che ero troppo severo. Penzo attribuiva anche a me la colpa».
“Basta argilla e anti-infiammatori”: la falsa speranza
Il medico convince la famiglia a rinunciare alla chemioterapia. «Diceva che non serviva – racconta il padre – e prescrisse solo argilla e anti-infiammatori». Secondo le sue parole, il tumore si sarebbe potuto “ricomporre” naturalmente, una volta risolto il conflitto interiore. Dopo una nuova risonanza, Penzo arrivò perfino a dire che “l’osso si stava ricostruendo”. Parole che alimentarono un’illusione devastante: «Pensai che tra poco Francesco avrebbe ripreso a camminare», ricorda il padre.
Il dottore indirizzò poi la famiglia verso un presunto percorso di “rinforzo psichico” affidandoli a Pierre Pellizzari e Imma Quaranta, promotori dei metodi di Hamer. A Valdibrucia, in Toscana, Francesco seguì settimane di “trattamenti” all’aperto, con diete, massaggi e meditazione. Nel frattempo, il tumore avanzava inesorabilmente.
L’amara consapevolezza e il pentimento
Quando le condizioni del ragazzo peggiorarono, i genitori lo portarono all’ospedale di Perugia, dove finalmente accettarono chemioterapia e radioterapia. Ma era troppo tardi. «Se avessimo capito prima, avremmo agito diversamente – ammette oggi il padre –. Non abbiamo mai voluto fare del male a nostro figlio». Dopo il ritorno a casa, Francesco ricevette cure palliative, mentre Penzo continuava a insistere: «Diceva che non servivano, che così non poteva risolvere il conflitto».
Oggi Luigi e Martina si dicono distrutti e pentiti: «Andate negli ospedali. Potete anche credere a certe teorie, ma affidatevi ai medici veri. Non fate il nostro errore». La madre aggiunge con voce rotta: «Stare alla larga da Hamer. Non si possono dare consigli simili, mai. Se vuoi fare qualcosa, fallo per te stesso, non per i tuoi figli».