Feltri attacca lo stop al Ponte: “Il Sud paga ancora il conto”

Per Vittorio Feltri, il blocco sul Ponte sullo Stretto non è solo una questione tecnica ma l’ennesimo schiaffo politico al Sud che aspetta infrastrutture da decenni.

“Decisione giudiziaria dal sapore politico”

La lettera ricevuta da Vittorio Feltri – e da lui commentata con toni netti – parte da un’idea semplice: il Ponte sullo Stretto non è solo un progetto ingegneristico, ma un simbolo di riscatto per un territorio che si sente escluso. Il giornalista ha condiviso pubblicamente l’amarezza di chi vive al Sud e vede ancora una volta svanire una promessa di sviluppo. Il mancato “visto di legittimità” della Corte dei Conti, ufficialmente legato a procedure, trasparenza e costi, viene percepito come un ostacolo mascherato, un atto formalmente tecnico ma sostanzialmente politico. Da qui il sentimento diffuso: ogni volta che il Sud tenta di accelerare, arriva qualcuno a tirare il freno. L’autore della lettera parla di un “sogno calabrese”, di un ponte che dovrebbe unire l’Italia, ma che invece resta intrappolato tra rinvii, analisi, carte, firme, pareri, come se il Mezzogiorno dovesse sempre chiedere il permesso per crescere.

“Non è un divieto, è un rallentamento. E il rallentamento è già una sconfitta”

Feltri ha sottolineato come l’ostacolo non sia un “no” definitivo, ma un rinvio travestito da cautela istituzionale. Nel frattempo, chi aspetta modernizzazione vede passare gli anni, mentre il resto del Paese corre. La lettera lo dice chiaramente: “Il Sud merita infrastrutture, modernizzazione, connessioni, una dignità logistica pari al resto del Paese”. Ma invece di costruire, si frena; invece di investire, si rinvia. La critica è feroce: lo Stato non può permettersi di dire “aspetta” a un territorio che è già in ritardo. Il ritornello della prudenza diventa paralisi. E la paralisi, nel caso del Ponte, non è neutrale: favorisce chi è già avanti e punisce chi ha bisogno di recuperare. «Il vero sperpero non è costruire, è non fare» – questa è la frase che Feltri ha rilanciato come una stilettata. Perché ogni anno che passa senza opere strutturali, il Sud perde chance economiche, posti di lavoro, collegamenti dignitosi con il resto del Paese.

“Il Ponte è ancora possibile, ma va preteso, non atteso”

Feltri ha anche chiarito che la battaglia non è chiusa. Il Ponte non è stato cancellato, ma rallentato, ed è qui che si gioca il futuro. L’editorialista rifiuta l’idea di rassegnazione: se un territorio non reclama ciò che gli spetta, resterà indietro per legge di inerzia. Il messaggio finale è preciso: non bisogna piegarsi ai cavilli, né accettare che l’innovazione diventi un privilegio del Nord o dei centri economici più forti. Il Sud non chiede elemosina, ma pari accesso allo sviluppo. Il Ponte non è solo cemento: è la cartina di tornasole di un Paese che decide se vuole essere unito o restare diviso tra chi ha già tutto e chi deve ancora dimostrare di meritarselo.

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