Hamas pronta al disarmo nei negoziati di Sharm, ma dice no a Blair

Secondo giorno di colloqui in Egitto: Hamas accetterebbe di consegnare le armi e lasciare Gaza, ma rifiuta il nome di Tony Blair come governatore.

Le aperture di Hamas e i veti

Prime indiscrezioni trapelano dal secondo giorno di negoziati indiretti a Sharm el-Sheikh, dove delegazioni israeliane e di Hamas dialogano tramite mediatori egiziani e qatarioti. Secondo quanto riportato da Sky News Arabia citando una fonte palestinese, Hamas avrebbe accettato di consegnare le proprie armi a un’autorità congiunta egiziano-palestinese per tutta la durata dei colloqui. Inoltre, i leader del movimento sarebbero disposti ad abbandonare Gaza, a condizione che gli Stati Uniti garantiscano che non vengano perseguitati all’estero.
C’è però un veto netto: Hamas rifiuta l’ipotesi che l’ex premier britannico Tony Blair assuma la carica di governatore di Gaza, proposta contenuta nel piano elaborato da Donald Trump. Il movimento islamista, tuttavia, accetterebbe per Blair un eventuale ruolo di supervisione “a distanza”.

Cessate il fuoco e ostaggi al centro del negoziato

Un altro punto cruciale è la richiesta di Hamas di un cessate il fuoco immediato nello spazio aereo di Gaza, così da permettere il recupero degli ostaggi israeliani entro una settimana. La richiesta si intreccia con le pressioni del Qatar, che ha accusato Israele di non aver rispettato finora l’impegno al cessate il fuoco previsto dal piano Trump. «Avrebbe dovuto interrompere le operazioni se le dichiarazioni del primo ministro sull’adesione al piano fossero state vere», ha dichiarato il ministro degli Esteri qatariota Majed al-Ansari.
Dal Cairo filtra ottimismo: un funzionario egiziano, rimasto anonimo, ha parlato di “accordo sulla maggior parte dei termini” riguardanti la prima fase del piano, che include sia il rilascio degli ostaggi che l’avvio di un cessate il fuoco.

Le condizioni di Hamas e le incognite politiche

Il portavoce di Hamas Fawzi Barhoum ha elencato le principali richieste per giungere a un accordo complessivo: un cessate il fuoco permanente, il ritiro totale delle forze israeliane da Gaza, l’ingresso senza restrizioni di aiuti umanitari, il ritorno degli sfollati alle proprie abitazioni, un processo di ricostruzione sotto la guida di un corpo nazionale palestinese di tecnocrati e uno scambio equo di prigionieri.
Barhoum ha inoltre accusato il premier israeliano Benjamin Netanyahu di ostacolare deliberatamente i negoziati, come già avvenuto in passato. «Nonostante la brutale forza militare e il sostegno americano, Israele non è riuscito e non riuscirà a ottenere una falsa immagine di vittoria», ha dichiarato.
Intanto, dagli Stati Uniti, il presidente Donald Trump ha mostrato fiducia: «Esistono ottime possibilità di un accordo duraturo. Questo va oltre Gaza: riguarda la pace in Medio Oriente». Le maggiori incertezze restano però sulla futura conformazione politica del governo di Gaza, nodo che continua a dividere le parti in causa.

Lascia un commento