Negli ultimi giorni Giovanni Floris si è ritagliato un ruolo sempre più riconoscibile nell’opposizione “televisiva” alla premier Giorgia Meloni. Il conduttore di DiMartedì (La7) ha prima colpito a Otto e mezzo e poi ha rincarato la dose a In altre parole di Massimo Gramellini, alzando l’asticella dello scontro politico-mediatico.
Floris, Il passaggio a Otto e mezzo
Interpellato sul presunto ruolo dell’Italia nel negoziato su Gaza, Floris ha liquidato l’apporto del governo come inesistente o marginale: secondo lui l’esecutivo avrebbe “seguito la scia di Donald Trump”, schierandosi “silenziosamente dalla parte di Israele”, lavorando per frenare sanzioni e per indebolire posizioni politiche ritenute determinanti nel dibattito internazionale. Una fotografia che dipinge Palazzo Chigi residuale nelle partite diplomatiche e agganciato all’asse trumpiano.
Il “bis” da Gramellini
Pochi giorni dopo, il giudizio si fa ancora più tranchant. “Meloni è in campagna elettorale”, premette Floris, che però marca una differenza con la stagione berlusconiana: “Persino Berlusconi, pur durissimo, manteneva un filo d’ironia”. Oggi, al contrario, Floris parla di un “livido odio” che traspare dal linguaggio politico della premier, fino alla metafora che fa discutere: la trasformazione delle uscite da “nonno un po’ fascista a capotavola” — quello che brontola su giovani e migranti — in linea politica. “Che quel nonno a capotavola sia diventato politica mi inquieta”, chiosa.