Pasquino demolisce Landini: “Ha insultato Meloni, deve solo chiedere scusa”

Il politologo Gianfranco Pasquino condanna le parole di Maurizio Landini contro Giorgia Meloni: “Ha usato un insulto sessista, doveva argomentare, non offendere”.

Pasquino: “Un linguaggio inaccettabile per un sindacalista”

Non usa mezzi termini Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna, nel commentare il caso che ha travolto il segretario della Cgil, Maurizio Landini, dopo aver definito la premier Giorgia Meloni “una cortigiana di Donald Trump”.
«Dovrebbe solo scusarsi. Non basta ammettere l’errore», ha dichiarato Pasquino in un’intervista a Il Tempo. Parole che arrivano da una voce autorevole del mondo accademico, da sempre vicina a posizioni progressiste.
«Il vero problema – ha spiegato – è quando si abusa di affermazioni azzardate. Preferivo il sindacato che parlava di temi concreti, non quello che usa parole poco eloquenti negli studi televisivi. Se Landini pensava che la premier fosse troppo servile nei confronti di Trump, doveva argomentare e non usare epiteti».

“Serve il dibattito, non gli insulti”

Per Pasquino, l’episodio non è solo una caduta di stile, ma il sintomo di un problema più profondo nel linguaggio politico contemporaneo: «Oggi molti politici sono approssimativi, superficiali o peggio ignoranti. Credono che un’iperbole o un’accusa fuori luogo sia l’unico modo per finire sui giornali».
Un messaggio chiaro anche al fronte progressista, troppo spesso incline – secondo il politologo – a giustificare le uscite dei propri esponenti. «Per dire “non la penso come Ranucci o come Il Tempo”, bisogna farlo con tesi, non con minacce o denunce. Le divergenze si risolvono con un dibattito aperto e plurale».

“La sinistra deve tornare alla sostanza, non alla propaganda”

Pasquino non risparmia critiche neppure al modo in cui la sinistra ha gestito la vicenda: «Invece di censurare, si è giustificato l’insulto. È un segnale di debolezza culturale e politica. Un sindacato serio – afferma – non dovrebbe farsi notare per la rozzezza verbale del suo leader, ma per la capacità di rappresentare i lavoratori e i pensionati».
Infine, il politologo invita a un ritorno alla sobrietà: «Il linguaggio dell’insulto e dell’esagerazione non porta consenso, ma allontana i cittadini dalla politica. Chi rappresenta milioni di iscritti deve dare il buon esempio, non alimentare la rissa».
Parole che arrivano come un richiamo alla responsabilità, non solo per Maurizio Landini, ma per un’intera classe dirigente sempre più ostaggio della ricerca di visibilità.

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