Travaglio esplode: “Ranucci isolato, gli altri troppo occupati a leccare i potenti”

Travaglio avverte: la bomba contro Sigfrido Ranucci colpisce un singolo isolato, non una categoria; il vero problema è l’isolamento dei cronisti scomodi.

Il bersaglio è Ranucci, non tutta la categoria

Marco Travaglio mette in fila cause e contesti per spiegare perché la bomba piazzata davanti alla casa di Sigfrido Ranucci non va (subito) letta come un attacco al giornalismo nel suo complesso. «La bomba contro Sigfrido Ranucci non è un attentato o un avvertimento a tutti i giornalisti. Magari lo fosse: vorrebbe dire che la democrazia è sana e il “quarto potere” funziona. Ma allora colpirne un singolo esponente sarebbe inutile, perché poi bisognerebbe colpirli tutti; anzi dannoso, perché si scatenerebbe la reazione di tutti».
La diagnosi di Travaglio è chiara: non esiste una massa uniforme di giornalisti pronti a pagare il prezzo del «fare inchiesta». «Invece di giornalisti come Sigfrido e gli altri di Report ce ne sono pochi, pochissimi: li conosciamo per nome e cognome perché quelli che danno notizie proibite e fanno domande indiscrete si contano sulle dita delle mani di un monco». E dunque, aggiunge, chi abbia voluto colpire lo ha fatto «a colpo sicuro», sapendo di poter prendere di mira un uomo relativamente isolato.

L’isolamento come fattore di rischio

Nel lungo elenco delle responsabilità che Travaglio sciorina compaiono la politica, i grandi gruppi economici e una nutrita schiera di opinionisti: chi, a suo avviso, alimenta un clima di delegittimazione. Contro Report — dalla Gabanelli a Ranucci —, scrive l’editorialista, «gran parte della politica si esercita da trent’anni al tiro al bersaglio», e le pressioni giudiziarie e civili non sono mancate quando i reportage toccavano interessi forti.
Cita poi l’episodio comico-amareggiato di Gasparri in Vigilanza, la lista di gruppi che portano in tribunale i giornalisti e la «pletora» di «giornalisti» e «critici televisivi» che, secondo Travaglio, si affrettano a leccare il potere e attaccare chi smaschera. È un circuito — osserva — che finisce per isolare chi osa indagare: «È questo il vero “isolamento” che espone al pericolo alcuni giornalisti, magistrati e figure di contro-potere: non il fatto di avere contro il potere (questo è fisiologico), ma di essere così pochi da sembrare strani o deviati. Quindi più facili da eliminare o silenziare».

Dalla satira a Wikileaks: chi paga il prezzo della verità

Travaglio allarga il campo: non risparmiano critiche né la satira oggi contestata, con casi come Crozza, né figure internazionali come Assange, bollato da alcuni come «spia» quando invece — secondo l’editorialista — aveva compiuto il mestiere fino in fondo. Il punto di arrivo è lo stesso: quando pochi fanno il lavoro ingrato di urlare verità scomode, la reazione del potere e dei suoi alleati mediatici rischia di rendere quei pochi facili bersagli.
Il ragionamento di Travaglio non pretende di spiegare la matrice dell’attentato — «qualunque ne sia la matrice» — ma mette in guardia: la difesa della stampa libera passa anche dalla capacità di non lasciare soli quei pochi cronisti che, a sua detta, pagano il conto più alto.

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