Vittorio Feltri torna sul caso Garlasco e mette in discussione la sentenza definitiva, sostenendo l’innocenza di Alberto Stasi e criticando il percorso giudiziario durato vent’anni.
Le criticità del processo e il nodo delle prove
Nel suo intervento, Vittorio Feltri richiama l’attenzione sul caso di Alberto Stasi, condannato in via definitiva per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco nel 2007. Feltri definisce Stasi «un innocente dimenticato» e mette in discussione l’intero iter giudiziario, sottolineando come la sentenza sia arrivata nonostante «l’assenza di movente, dell’arma del delitto e di prove certe».
Secondo il giornalista, la gestione iniziale delle indagini avrebbe contribuito a creare un quadro accusatorio costruito su un pregiudizio e non su elementi oggettivi. La ricostruzione investigativa, afferma, sarebbe stata guidata dall’idea che il principale sospettato dovesse essere «il fidanzato», ipotesi poi trasformata in verità processuale.
Feltri ricorda anche che due gradi di giudizio avevano assolto l’imputato, prima che la Cassazione — che non giudica il merito ma la legittimità del procedimento — annullasse quelle sentenze disponendo un nuovo processo, concluso con la condanna a sedici anni di reclusione.
Il precedente e la nuova pista investigativa
Un altro elemento centrale richiamato da Feltri riguarda la riapertura delle indagini con la recente attenzione al nome di Andrea Sempio, amico della vittima. L’ipotesi investigativa, ancora in fase di verifica, riguarda la possibilità che alcune tracce biologiche appartenessero a un soggetto diverso da Stasi. È stato inoltre riportato il sospetto — tutto da accertare — di un tentativo di corruzione da parte del padre di Sempio ai danni di un magistrato, per ottenere un’archiviazione.
Feltri sottolinea che l’esistenza stessa di questa ipotesi getta un’ombra sull’impianto probatorio che portò alla condanna definitiva. «Un padre che crede all’innocenza del figlio non corrompe nessuno», afferma, interrogandosi sulle motivazioni di un simile gesto.
Il giornalista ribadisce inoltre come Stasi, pur condannato, continui a dichiararsi innocente e come il suo nome sia quasi del tutto scomparso dal dibattito pubblico sul caso, oggi concentrato quasi esclusivamente su eventuali nuovi indagati.
Il tema della malagiustizia e il caso come simbolo
Feltri definisce la vicenda «un esempio di malagiustizia», richiamando la responsabilità del sistema nel non aver garantito un processo pienamente fondato su evidenze. A suo avviso, la condanna sarebbe stata una soluzione giudiziaria «di necessità», utile a trovare un colpevole dopo anni di incertezze.
Pur ribadendo di non voler sostituirsi ai magistrati, Feltri afferma con chiarezza la propria posizione: «So che l’assassino non è Alberto Stasi». Il giornalista sostiene che la sentenza definitiva non abbia chiuso il caso dal punto di vista logico, ma soltanto da quello procedurale, lasciando irrisolti interrogativi centrali.
Nel suo intervento, Feltri dichiara infine di auspicare un futuro riconoscimento dell’innocenza dell’uomo, anche se — sottolinea — nessuna eventuale revisione potrebbe restituirgli gli anni trascorsi in carcere.